La classificazione del Journal è stata contestata. Inizialmente fu presentato e letto come un’opera di non-fiction, ma negli anni 1780 fu accettato lo status di finzione dell’opera. Si è continuato a discutere se Defoe potesse essere considerato l’autore dell’opera piuttosto che il suo semplice editore. Edward Wedlake Brayley scrisse nel 1835 che il Journal è “enfaticamente, non una finzione, non basato sulla finzione … una grande ingiustizia è fatta alla memoria così da rappresentarla”. Brayley si preoccupa di confrontare il resoconto di Defoe con resoconti noti in buona fede come la Loimologia del Dr. Nathaniel Hodges (1672), il diario di Samuel Pepys, e la Terribile Voce di Dio nella Città dalla Peste e dal Fuoco di Thomas Vincent (1667), oltre a fonti primarie. Questo punto di vista è stato sostenuto anche da Watson Nicholson – scrivendo nel 1919 – che ha sostenuto che “non c’è una sola affermazione nel Journal, pertinente alla storia della Grande Peste di Londra, che non sia stata verificata”, e quindi l’opera può essere considerata come “storia autentica”. È, secondo Nicholson, “una fedele registrazione di fatti storici … era così inteso dal suo autore”. Almeno un critico letterario moderno, Frank Bastian, ha convenuto che “il dettaglio inventato è … piccolo e inessenziale” e che il Giornale “sta più vicino alla nostra idea di storia che a quella di finzione”, e che “ogni dubbio che rimane se etichettarlo “finzione” o “storia” deriva dalle ambiguità inerenti a queste parole.”
Altri critici letterari hanno sostenuto che l’opera dovrebbe essere considerata come un lavoro di finzione immaginativa, e quindi può essere giustamente descritto come un “romanzo storico”. Questo punto di vista è stato sostenuto da Everett Zimmerman, che ha scritto che “È l’intensità dell’attenzione sul narratore che rende A Journal of the Plague Year più simile a un romanzo che alla … storia”. In effetti, l’uso da parte di Defoe del narratore “H.F.”, e la sua presentazione iniziale del Diario come i ricordi di un testimone oculare della peste, è il principale punto critico che lo considera più un “romanzo” – “una delle particolari classi di composizioni che si librano tra il romanzo e la storia”, come fu descritto da Sir Walter Scott – che un resoconto storico. Walter George Bell, uno storico della peste, ha notato che Defoe non dovrebbe essere considerato uno storico perché usa le sue fonti in modo acritico.
La visione un po’ ambigua di Scott sulla natura del Journal fu condivisa dal primo grande biografo di Defoe, Walter Wilson, che scrisse in Memoir of the Life and Times of Daniel De Foe (1830) su di esso che “si è ingegnato a mischiare così tanto che è autentico con le invenzioni del suo stesso cervello, che è impossibile distinguere l’uno dall’altro; e ha dato all’insieme una tale somiglianza con il terribile originale, da confondere lo scettico e avvolgerlo nei suoi incantesimi.” Secondo Wilson, l’opera è una “alleanza tra storia e finzione” in cui l’una si trasforma continuamente nell’altra e viceversa. Questo punto di vista è condiviso da John Richetti che chiama il Journal un tipo di “pseudo-storia”, un “libro denso di fatti, anche grossolanamente veritiero” in cui “l’immaginazione … si accende occasionalmente e domina quei fatti.”
Queste concettualizzazioni alternative del Journal – come fiction, storia, o storia-cum-fiction – continuano ad esistere.