Questa storia fa parte del libro:
Mama Mia Let Me Go!
Un viaggio attraverso i testi e le storie più intriganti della musica rock
Acquista su Amazon
Smells Like Teen Spirit: il manifesto in cui Kurt Cobain, il cantante dei Nirvana, esprime la sua rabbia per un mondo dominato da avidi uomini d’affari, ma anche per l’incapacità della sua generazione di lavorare per una valida alternativa. È una reazione al compito apparentemente impossibile di iniziare una rivoluzione all’interno della gioventù.
Cobain stesso ha spiegato: “Sono disgustato dall’apatia mia e della mia generazione. Sono disgustato da quello che permettiamo di fare, da quanto siamo senza spina dorsale, letargici e colpevoli”. Questo lo ha ispirato a dipingere il quadro di Teen Spirit, espresso a modo suo, attraverso l’arte. Sia i testi che il video incarnano la sua confusione; metafore, immagini e simbolismo si fondono tutti insieme nel suo messaggio, da decifrare sia per l’ascoltatore che per lo spettatore. Più palesemente, le cheerleader nel video, vestite di nero con il simbolo anarchico stampato sull’uniforme, sono lì su esplicita richiesta di Cobain.
La canzone divenne l’inno della gioventù apatica della Generazione X. In un mondo ossessionato dal successo, scegliere la sconfitta era un atto rivoluzionario. Persone come Kurt, nate alla fine degli anni sessanta, non avevano vissuto una guerra mondiale o combattuto in Vietnam. La guerra fredda, la repressione culturale, il divorzio, la solitudine, la disoccupazione e l’alienazione: quello era il loro Vietnam. La loro ribellione non era caratterizzata da slanci epici o proclami idealistici. Era l’urlo di rabbia, il gemito dell’angoscia, nongraziato e spontaneo. In risposta all’etica del profitto, al finto ottimismo degli anni 80, reagirono con sarcasmo e apatia. Questa era la loro posizione: schierarsi con i perdenti, ostentare indifferenza di fronte alla catastrofe, simpatizzare con il fallimento.
La storia narrata attraverso i testi inizia nel caos della camera di due ventenni. Un evento autobiografico? Forse… In un’intervista al Seattle Times, Cobain disse: “Ci stavamo divertendo molto a parlare di cose rivoluzionarie, e finimmo per distruggere la mia camera da letto, gli specchi, il letto, tutto quello che trovammo. Abbiamo iniziato a imbrattare le pareti con lo spray e Kathleen ha scritto “Kurt smells Like Teen Spirit”. L’ho preso come un complimento”. La frase deriva da un profumo per adolescenti che era molto popolare all’epoca, e Kathleen voleva ridicolizzare Kurt, insinuando che non era ancora un uomo. Kurt, che ignorava l’esistenza del profumo, prese invece il commento come una forma di apprezzamento, come se non fosse ancora soggiogato dall’età adulta, e incarnasse ancora lo spirito adolescenziale. Intervistato in altri contesti, Cobain si rivelò insofferente all’idea di approfondire il significato della canzone: “Fondamentalmente è una canzone sugli amici, sui coetanei. Ci sentiamo ancora adolescenti perché non vogliamo seguire gli adulti. Andiamo in giro, cerchiamo di divertirci. Il cuore della canzone riguarda la presa in giro dell’idea di mettere in atto una rivoluzione. Ma è comunque una buona idea”. Cobain alla fine avrebbe saccheggiato i suoi diari personali per alimentare i testi. Il risultato è uno sfogo rabbioso, un pugno al cielo, così intenso che chiunque lo ascolti, anche senza sapere cosa significa “Teen Spirit”, ha la netta sensazione che la canzone voglia dire qualcosa, qualcosa di veramente intenso.
Caricatevi di armi, portate i vostri amici
E’ divertente perdere e fingere
E’ troppo annoiata, sicura di sé
Oh no, conosco una parolaccia
La chiamata alle armi nel primo verso allude all’urgenza rivoluzionaria di un ipotetico movimento giovanile. L’apertura (“Load up on guns, bring your friends”), è liricamente potente ed evocativa. Michael Azerrad, il biografo ufficiale dei Nirvana, sostiene che la ragazza annoiata e sicura di sé nel testo è Tobi Vail, che all’epoca era coinvolta in una relazione complicata con Cobain. Vail, batterista delle Bikini Kill, era una delle protagoniste della scena “Riot Girl”, una riedizione rock del femminismo americano della metà degli anni Settanta. Era una nuova protesta, questa volta attraverso la musica, che si opponeva fermamente alla struttura patriarcale della società, allo sciovinismo e al machismo, ma non era ancora abbastanza completa per elaborare una critica politica coerente. Le ambizioni frustrate del movimento furono prese come paradigma dell’incapacità della generazione X di elevarsi (“È divertente perdere e fingere”), un fallimento che Cobain riconosce persino dentro di sé. La rivoluzione perseguita durante gli anni ’80 e ’90 fu, infatti, una rivoluzione platonica, un movimento inerte, una paralisi di intenti, una sovversione cerebrale castrata dallo scetticismo che aveva pervaso un’intera generazione di giovani. È quasi uno scherzo, osserva, prima di tornare a quello che i sociologi americani hanno definito come lassismo. In una situazione del genere, in realtà è divertente “perdere e fingere”
Sono peggiore in quello che so fare meglio
E per questo dono mi sento benedetto
Il nostro piccolo gruppo è sempre stato
E sempre sarà fino alla fine
Questa inadeguatezza adolescenziale (“sono peggiore in quello che so fare meglio”) è una costante della letteratura americana del dopoguerra. Cobain è l’ultimo di quella tribù di outsider, quei giovani disaffezionati, ribelli letterari alle prese con il loro flusso di coscienza. Da qui in poi, la canzone rivela la sua natura rabbiosa e impotente concludendo ogni strofa con un messaggio di resa: “Nevermind”, “I feel stupid” (depressione), “a denial”.
And I forget just why I taste
Oh Yes, I guess it makes me smile
I found it hard, it was hard to find
Oh well, whatever, nevermind
Hello, hello, hello, how low?
I diari di Cobain contengono una frase che Cobain non usa nella versione finale della canzone; una frase che conferma come le tendenze autodistruttive possano raggiungere conseguenze estreme: “Il giorno più bello che abbia mai avuto è stato quando il domani non è mai arrivato”.
Il ritornello sposta l’azione sul palco e mette in evidenza una delle grandi ossessioni di Cobain: il rapporto con il pubblico e la gestione di una celebrità che stava crescendo esponenzialmente. Un tema che alla fine tornerà tragicamente in altri testi successivi e nella sua lettera d’addio al mondo.
Con le luci spente è meno pericoloso
Ora siamo qui, intratteneteci
Mi sento stupido e contagioso
Ora siamo qui, entertain us
A mulatto
An albino
A mosquito
My Libido
Yay
A denial
In tre versi, Cobain sposta la prospettiva narrativa dal palco al pubblico e poi di nuovo al palco. L’oscurità della stanza (“With the lights out”) è una maschera che nasconde temporaneamente (“it’s less dangerous”) la stupidità consapevole e contagiosa dell’intrattenitore (“I feel stupid and contagious”), mentre il pubblico invoca il divertimento (“Here we are now, entertain us”). È il dramma psicologico del “Matto” del grunge, Cobain, l’artista consapevole della separazione tra uomo e maschera artistica; una costrizione in cui vive da prigioniero (non è un caso che una variante dei diari dica “segregateci” invece di “intratteneteci”).
Quando Kurt scrisse la sua ultima lettera, aveva 27 anni. Ventisette anni; una moglie amata, una figlia, eppure ha indirizzato la sua ultima lettera a Boddah, l’amico immaginario (l’unico capace di stargli accanto anche nei momenti più difficili) che aveva riempito la sua infanzia solitaria, vissuta da figlio unico con genitori divorziati. Nel suo messaggio d’addio, ha rivelato di non essere più in grado di provare alcuna emozione o di amare gli umani, tanto da sentirsi “maledettamente triste”. Succede agli spiriti troppo sensibili di raggiungere sentimenti d’amore così alti che alla fine diventano insostenibili. Kurt cercò di liberarsi da tutta la sofferenza, da tutta la paura e dalla paranoia, immergendosi completamente nella musica che vedeva come il suo personale “Nirvana” (il termine deriva dal sanscrito e significa “cessazione del respiro o libertà dal desiderio”). È uno stato in cui l’uomo può liberarsi dalla sofferenza e dai problemi. Ma è un paradiso che si trasformerà, però, in un inferno. Della sua lettera d’addio viene spesso citata la penultima frase, dove Cobain cita un verso della canzone di Neil Young, ‘My My, hey hey (out of the Blue)’: “È meglio bruciare che svanire”. Le ultime parole sono particolarmente belle: pace, amore, Empatia – l’ultima era sottolineata e in maiuscolo.
Il colpo di fucile con cui decise di porre fine ai suoi tormenti non portò via solo la voce, così maciullata e straziante, degli album così indimenticabili e immortalati nella storia del rock. Perché prima di non vedere altra soluzione che la morte, Kurt Cobain era molto di più. Un bambino allegro e spontaneo, irresistibile nel suo entusiasmo, presto indebolito dal desiderio irrealizzabile di una famiglia unita e felice. Era un adolescente complicato, sempre fuori posto, vessato dai compagni di scuola, determinato nei suoi piani di fuga da una provincia popolata da “idioti, cavernicoli e boscaioli”. Era anche un ragazzo curioso, affamato di esperienze. Attraverso i suoi occhi, la scoperta liberatoria della musica riuscì a far brillare una fiamma, ma era una fiamma che non avrebbe mai potuto spegnersi lentamente. Bruciare rapidamente era l’unica opzione. Ma mentre lo faceva, era meraviglioso e irripetibile.
Nel video qui sotto, Tori Amos interpreta Smells Like Teen Spirit in un modo che dimostra che non abbiamo bisogno di batterie, chitarre elettriche o tatuaggi per “essere” rock. Il rock è dentro. Il rock è qualcosa che devi dire.
Questa storia fa parte del libro:
Mama Mia Let Me Go!
Un viaggio attraverso i testi e le storie più intriganti della musica rock
Acquista su Amazon