Oggi – ora che siamo entrati nel buio dell’anno – guarderemo una poesia sulla neve di Emily Dickinson. Se consideriamo la posizione e i presunti compiti delle donne ai suoi tempi (1830-1886), non dobbiamo stupirci se poi si legge come una poesia “femminile”.
Esaminiamola parte per parte:
Si setaccia dai setacci di piombo
Si setaccia dai setacci di piombo,
Polverizza tutto il legno,
Riempie di lana d’alabastro
Le rughe della strada.
La neve cade lentamente, come la farina che cade attraverso un setaccio o setaccio di piombo – qui significa pesante e lento. Si può anche pensare che “plumbeo” si riferisca al colore grigio del cielo da cui cade la neve. Così la poesia inizia con un’immagine ben nota alle donne, la setacciatura della farina per la cottura.
La neve – come fine farina bianca – “polverizza tutto il legno” – copre di bianco gli alberi della foresta. Riempie anche le “rughe della strada” – i solchi e gli alti e bassi e le tracce dei carri e dei calessi – con lana “alabastro” – che significa lana molto bianca. L’alabastro è una pietra bianca traslucida, ma qui viene usato come aggettivo per significare “bianco puro”. Dickinson sta paragonando i fiocchi di neve che cadono a piccoli ciuffi di pura lana bianca. Questo è di nuovo qualcosa con cui le donne del 19° secolo avrebbero avuto molta familiarità, dalla loro filatura e tessitura e dai relativi compiti domestici.
Fa una faccia uniforme
di montagna e di pianura, –
Fronte infranta da est
verso l’est ancora.
Probabilmente pensando ancora alla neve che riempie le “rughe”, Dickinson dice che essa “fa un volto uniforme” delle montagne e della pianura – cioè le colline e le aree piatte sottostanti, levigandole, facendo una “fronte ininterrotta” – cioè una vasta area liscia – da est a ovest. Vediamo in questo la preoccupazione di molte donne del tempo di avere una carnagione liscia e pallida – qualcosa che Dickinson usa qui a vantaggio poetico.
Arriva al recinto,
Lo avvolge, binario per binario,
Fino a perderlo nel vello;
Lancia un velo di cristallo
Sul ceppo e sulla pila e sullo stelo, –
La stanza vuota dell’estate,
Ere di cuciture dove i raccolti erano,
senza parole, se non per loro.
L’ampia, piatta distesa di neve arriva fino al recinto, e lentamente lo “avvolge” – cioè comincia a coprirlo binario per binario, fino a che non è “perso in velli” cioè oscurato dal biancore della neve profonda, che Dickinson ancora qui paragona alla lana – un “vello” è la lana presa da una pecora o una capra.
La neve “getta un velo di cristallo” – cioè copre come con un panno bianco traslucido – i ceppi degli alberi, le cataste – forse di fieno lasciato fuori, e di altre cose – e gli steli delle piante. Lei chiama questa zona “la stanza vuota dell’estate”, perché sono i campi e i giardini vuoti e piatti dopo il raccolto. La descrive come “acri di cuciture dove c’erano i raccolti” – cioè le file di stoppie (ora coperte dalla neve) dove un tempo crescevano i raccolti, che lei paragona alle lunghe cuciture fatte dalle donne nel loro cucito. E aggiunge che, se non fosse per queste tracce residue di raccolto, non ci sarebbe nessuna traccia – nessuna prova – dei raccolti che erano cresciuti lì in estate; sarebbero “senza traccia”, senza prove o ricordo che erano stati una volta.
Si arruffianano i polsi dei pali,
come le caviglie di una regina, –
poi si fermano i suoi artigiani come fantasmi,
negando che sono stati.
La neve circonda le basi e le giunture dei pali, creando ciò che Dickinson paragona a dei “volant” di stoffa, come quelli che si potrebbero trovare sulle “caviglie di una regina”
L’ultimo verso è un po’ complicato, e piuttosto ambiguo a prima vista. Dickson ha parlato della neve che arruffa i “polsi dei pali”, poi dice che essa
…ferma i suoi artigiani come fantasmi,
Negando che sono stati.
Grammaticalmente, “i suoi artigiani” deve riferirsi agli artigiani della neve, ma chi o cosa sono? La migliore spiegazione che ho visto è che gli “artigiani” sono i fiocchi di neve che cadono, che svaniscono come fantasmi quando la neve smette di cadere, come se non fossero mai stati nell’aria. Ma il loro lavoro – la copertura bianca delle colline e dei campi e dei pali – rimane indietro. I creatori non si vedono più – essendo scomparsi nella creazione.
Non è una poesia perfetta, e certamente non è la migliore poesia che si possa trovare sul tema della neve. La Dickinson mescola molto le sue metafore, dal forno ai cosmetici, al cucito e ai costumi, ma crea una poesia alla quale una donna del suo tempo avrebbe potuto facilmente relazionarsi a causa delle familiari allusioni ai compiti domestici e agli interessi personali di cura.