Per quanto riguarda i registi teatrali, Jerzy Grotowski è accanto a grandi come Stanislavski, Artaud e Appia.
Figura chiave del teatro d’avanguardia, durante gli anni ’60 e ’70 divenne noto per le sue intense indagini sulla natura del rapporto tra attore e pubblico e per i suoi esperimenti con gli aspetti fisici e spirituali del teatro.
Piuttosto che limitarsi al palco tradizionale, Grotowski preferì spazi non tradizionali come edifici o stanze. Di solito, il pubblico era seduto all’interno dell’azione, diventando, in un certo senso, parte dello spettacolo.
Lo chiamava “teatro povero” – uno spettacolo che si concentra maggiormente sull’abilità dell’attore senza i soliti eccessi del teatro tradizionale come i costumi e le scenografie dettagliate.
Nato a Rzeszów, nel sud della Polonia, l’11 agosto 1933, dopo aver finito i suoi studi di recitazione alla Scuola Statale Superiore di Teatro di Cracovia, Grotowski andò all’Istituto Lunacharsky di Arti Teatrali di Mosca. Lì studiò regia, imparando il mestiere da allievi di giganti russi come Stanislavski e Vsevolod Meyerhold.
Messa in scena di Apocalypsis Cum Figuris, Wrocław, 1971Henryk Rosiak/PAP
Dopo essere tornato in Polonia, nel 1957 debuttò come regista con “The Chairs” di Eugene Ionesco e iniziò a dare lezioni di filosofia asiatica al club studentesco di Cracovia.
Nel 1959 si trasferì da Cracovia alla piccola città di Opole, sempre nel sud della Polonia, dove iniziò il suo teatro in stile sperimentale Teatr 13 Rzędów (Teatro delle Tredici File).
Nel 1965, chiuse il teatro e si trasferì nella città di Wrocław, dove riaprì il teatro con il nome Laboratory Theatre.
Ormai la sua fama cominciava a diffondersi e il suo adattamento de ‘Il tragico destino del dottor Faust’ di Marlowe – che vedeva il pubblico seduto intorno a un grande tavolo usato dagli attori come un palcoscenico, era stato trasformato in un film.
Nello stesso anno, scrisse uno studio teorico intitolato ‘Verso un teatro povero’.
Pubblicato in inglese nel 1968, con un’introduzione del regista inglese Peter Brook, divenne rapidamente una Bibbia del teatro esplorativo.
A questo punto si era già ritagliato una carriera internazionale.
Jerzy Grotowski (L) con il regista teatrale e cinematografico inglese Peter Brook (R) a Varsavia, 1975Adam Hawałej/PAP
Si presentò al Festival di Edimburgo e nel 1967 debuttò in America alla Brooklyn Academy of Music.
La fine degli anni ’60 fu segnata da quella che è probabilmente la sua messa in scena più nota, ‘Apocalypsis Cum Figuris’. Basato su testi tratti dalla Bibbia, Fyodor Dostoevskij, Simone Weil e Thomas S. Eliot, fu una produzione di successo che vide Grotowski e la sua compagnia girare praticamente tutti i maggiori festival teatrali internazionali.
Negli anni ’70 Grotowski cominciò gradualmente ad abbandonare la regia teatrale per concentrarsi invece su viaggi di studio etnologici in zone remote del mondo come India, Nigeria, Messico e Haiti e sull’insegnamento di teorie antropologiche.
In seguito all’introduzione della legge marziale in Polonia, nel 1982 si trasferì negli Stati Uniti dove divenne professore alla Columbia University di New York e poi all’Università della California.
Nel 1985 si stabilisce a Pontedera, una piccola città della Toscana, dove crea il suo “Centro di lavoro di Jerzy Grotowski” che si concentra sulla documentazione delle sue ricerche.
Svelamento del monumento di Jerzy Grotowski a Opole, 2004Krzysztof Świderski/PAP
Muore di leucemia a casa il 14 gennaio 1999.
Nell’85° anniversario della sua nascita, forse, il modo migliore per ricordare il suo approccio rivoluzionario al teatro sarebbe attraverso le sue stesse parole: “Quindi evitare sempre la banalità. Cioè, evitare di illustrare le parole e le osservazioni dell’autore:
“Se vuoi creare un vero capolavoro devi sempre evitare le belle bugie: le verità sul calendario sotto ogni data trovi un proverbio o un detto come: ‘Chi è buono con gli altri sarà felice’.
“Ma questo non è vero. È una bugia. Lo spettatore, forse, si accontenta. Allo spettatore piacciono le verità facili. Ma noi non siamo qui per compiacere o assecondare lo spettatore. Siamo qui per dire la verità.”