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In cardiologia, il miocardio stordito è uno stato in cui una certa sezione del miocardio (corrispondente ad una zona di una grande occlusione coronarica) mostra una forma di anomalia contrattile. Si tratta di una disfunzione segmentale che persiste per un periodo di tempo variabile, circa due settimane, anche dopo che l’ischemia è stata alleviata (per esempio con un’angioplastica o un intervento di bypass coronarico). In questa situazione, mentre il flusso sanguigno miocardico (MBF) ritorna alla normalità, la funzione è ancora depressa per un periodo di tempo variabile.
Cardiologia
Lo stordimento miocardico è la riduzione reversibile della funzione della contrazione del cuore dopo la riperfusione non giustificata da danni ai tessuti o dalla riduzione del flusso sanguigno.
Dopo l’ischemia totale, il miocardio passa immediatamente dalla glicolisi aerobica alla glicolisi anaerobica con conseguente riduzione della capacità di produrre fosfati ad alta energia come ATP e Creatinina Fosfato. A questo punto, la mancanza di energia e l’accumulo di lattato porta alla cessazione della contrazione entro 60 secondi dall’ischemia (cioè l’occlusione dei vasi). In seguito c’è un periodo di “stordimento miocardico”, in cui si verifica un danno ischemico reversibile. A circa 30 minuti dall’inizio dell’ischemia totale il danno diventa irreversibile, terminando così la fase di stordimento miocardico.
Le situazioni cliniche di miocardio stordito sono:
- infarto miocardico acuto (AMI)
- dopo un’angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA)
- dopo un’operazione cardiaca
- miocardio stordito ‘neurogenico’ dopo un evento cerebrovascolare acuto come un’emorragia subaracnoidea
- nei pazienti sottoposti a emodialisi cronica, lo stordimento miocardico cronico può portare all’insufficienza cardiaca
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